Sentenza n.588 del 1988

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SENTENZA N.588

 

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Prof. Francesco SAJA Presidente,

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 529, primo comma, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 2 dicembre 1985 e il 9 dicembre 1986 dalla Corte di Cassazione sui ricorsi proposti da Bonanno Calogero e Asaro Pasquale, iscritte al n. 431 del registro ordinanze 1986 e al n. 356 del registro ordinanze 1987 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima s.s. dell'anno 1986 e n. 34, prima s.s. dell'anno 1987.

 

Visti l'atto di costituzione di Bonanno Calogero nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 19 aprile 1988 il Giudice relatore Ettore Gallo;

 

uditi gli avvocati Roberto Genna ed Enzo Gaito per Bonanno Calogero e l'avvocato dello Stato Stefanio Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due ordinanze propongono la stessa questione di legittimità costituzionale dell'art. 529 cod. proc. pen., e con riferimento agli stessi parametri 3 e 24 Cost. I giudizi, pertanto, possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

 

2. - La questione sollevata é fondata.

 

Effettivamente le disposizioni generali concernenti la nomina del difensore di fiducia sono previste nell'art. 134 cod. proc. pen., così come riformulato dall'art. 2 della l. 5 dicembre 1969 n. 932, dopo la sentenza di questa Corte 3 dicembre 1969 n. 148. E' fuori dubbio, infatti, che il disposto di cui al secondo comma e applicabile ad ogni ipotesi di nomina, in ogni stato e grado del procedimento.

 

Secondo le regole previste nella prima parte di detto articolo, sembra evidente che il legislatore ha inteso facilitare in ogni modo la nomina del difensore di fiducia, atteso il rilievo che assume la sua presenza nel moderno processo penale. Una presenza la cui violazione é sanzionata dal codice stesso con nullità d'ordine generale, addirittura insanabile quando si riferisce al dibattimento (art. 185, secondo comma, cod. proc. pen.).

 

Oggi, d'altra parte, quell'esigenza é richiamata come inviolabile dalla legge fondamentale dello Stato. In realtà, le forme previste dall'art. 134 cod. proc. pen. per far luogo alla nomina del difensore di fiducia sono estremamente semplici. La nomina, infatti, può farsi .

 

L'interessato, perciò, ha una larga opzione di mezzi per rendere nota al giudice la sua volontà in ordine al difensore di fiducia. può avvalersi dell'occasione di un qualsiasi atto del procedimento che debba essere ricevuto o anche soltanto all'autorità giudiziaria, e perciò anche di una semplice memoria; ma-se crede-può formalizzare l'atto recandosi personalmente nella cancelleria o nella segreteria del magistrato che procede a rendere a verbale la dichiarazione di nomina, oppure mandandovi un suo procuratore speciale. Infine -ed é questa davvero la forma di maggiore semplicità- può soltanto limitarsi a partecipare la nomina mediante lettera raccomandata diretta agli stessi uffici di cui sopra.

 

Tuttavia, proprio l'art. 134, che pure-come si é visto - facilita e semplifica in ogni modo le formalità, prevede che la legge possa esigere, per talune specifiche ipotesi, forme particolari: nel qual caso evidentemente le disposizioni speciali debbono prevalere su quelle generali.

 

Tali sono senza dubbio le forme previste dall'art. 529 cod. proc. pen. per l'incarico a sottoscrivere i motivi di ricorso per cassazione ad avvocato che, non avendo difeso il ricorrente nell'ultimo giudizio, non abbia avuto conferito espresso incarico con la dichiarazione di impugnazione, ovvero con atto ricevuto successivamente dal cancelliere innanzi al quale venne fatta la detta dichiarazione. In tal caso, l'atto di incarico al difensore dev'essere ricevuto da notaio o, quanto meno, da questi autenticato. La legge, (mentre precisa che, in ogni caso, deve trattarsi di avvocato iscritto nell'albo speciale della Corte di Cassazione), non dice, ove si tratti di quell'ultima ipotesi, vale a dire di semplice scrittura privata d'incarico con sottoscrizione autenticata da notaio, per quali forme debba poi essere fatta pervenire alla cancelleria del giudice che ha emesso la decisione impugnata.

 

Deve, perciò, ritenersi che, nel silenzio, si applichino le norme generali: e, cioé, che l'atto possa essere poi tanto quanto .

 

In buona sostanza, le differenze, rispetto alle disposizioni generali, riguardano la qualità del difensore e una delle forme previste per nominarlo. Ma la prima di esse non appartiene certo alla categoria delle forme, e non entra, perciò, nella riserva di cui al primo comma dell'art. 134 cod. proc. pen.

 

E sicuramente, invece, forma particolare, rispetto a quelle generali, l'atto di incarico ricevuto da notaio o da questi autenticato. In altri termini, quando si tratti di dare un nuovo incarico per la sottoscrizione dei motivi di ricorso, e non si sia provveduto nell'atto d'impugnazione o successivamente con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, l'atto non può essere semplicemente spedito per raccomandata alla cancelleria competente, come per gli altri gradi di giudizio, ma deve essere o raccolto da notaio, o almeno da questi autenticato. O atto pubblico, quindi, o scrittura privata autenticata.

 

3. -Orbene, poichè si tratta pur sempre di affidare un incarico ad un difensore, e perciò di compiere un atto che, qualunque sia il grado di giudizio, non può avere evidentemente sul piano ontologico natura diversa, occorre stabilire se la rilevata differenza di forma che la legge prescrive per il grado di legittimità abbia, tuttavia, una qualche giustificazione ragionevole. Solo attraverso quest'ultima, infatti, troverebbe rispetto il parametro invocato di cui all'art. 3 Cost.

 

In realtà, non può negarsi che, tra i vari gradi di giudizio, la sede di legittimità mostri talune particolari caratteristiche che la contraddistinguono. Ad essa, infatti, non può accedersi se non per violazione della legge penale sostanziale, o di quella processuale se si tratta di norme stabilite a pena di nullità, inammissibilità o decadenza, o per esercizio da parte del giudice di potestà che non competono all'autorità giudiziaria, o infine nei casi specifici previsti dal secondo comma dell'art. 524 cod. proc. pen. Gli altri gradi di giudizio, invece, riguardano essenzialmente la cognizione del fatto, oltre che la sua definizione giuridica, oppure la revisione critica del giudizio di primo grado, nei limiti del devoluto, in grado d'appello.

 

Una siffatta differenza e più che sufficiente a giustificare l'esigenza di una maggiore qualificazione culturale del difensore, attesa la delicatezza dei problemi giuridici che vanno discussi in quella sede. Non appare, invece, con la stessa evidenza la ratio che e alla base della disposizione che non consente per l'atto di incarico le stesse forme previste per gli altri gradi di giudizio.

 

In particolare, resta oscura la ragione per cui, ove l'incarico al qualificato difensore non sia stato affidato nell'atto di impugnazione, o successivamente davanti al cancelliere, occorra l'intervento del notaio per raccogliere, o almeno per autenticare, la volontà del ricorrente, quando negli altri giudizi é sufficiente una privata scrittura da far pervenire alla cancelleria per lettera raccomandata.

 

Secondo l'Avvocatura, la ratio della disposizione sarebbe nell'intento del legislatore di dare autenticità alla volontà del ricorrente in relazione all'importanza che assume il giudizio di legittimità. Ma, sotto tale profilo, non si capirebbe perchè mai il legislatore dovrebbe avere così a vile gli altri due gradi di giudizio da ritenere trascurabile il rischio di un falso incarico defensionale. Specie nel primo grado, dove massimo, e spesso di lunga durata, é l'impegno del difensore per l'accertamento del fatto attraverso l'istruttoria dibattimentale. Come si é rilevato, l'importanza sul piano culturale del giudizio di legittimità può spiegare la richiesta di una specifica qualificazione del difensore, ma non una così sostanziale differenza delle forme attraverso cui si legittima la manifestazione di volontà del ricorrente in ordine al difensore.

 

Quanto poi alla sent. n. 145 del 1972 di questa Corte, invocata dall'Avvocatura, va osservato che, in quella specie, erano in discussione non le forme dell'incarico ma proprio la particolare qualificazione del difensore e la legittimazione a nominarlo. Si trattava, infatti, addirittura di praticante procuratore, difensore d'ufficio in Pretura di imputato irreperibile, che, proponendo ricorso per cassazione, aveva egli stesso nominato i difensori per l'estensione e la sottoscrizione dei motivi.

 

Ipotesi ben diversa, che spiega il giudizio negativo sulla sollevata questione di legittimità.

 

Deve, invece, soggiungersi che una siffatta inspiegabile differenza, nelle forme dell'incarico al difensore, tra i gradi di merito e quello di legittimità, si verifica esclusivamente nel l'ambito del processo penale. Ne nel giudizio civile, ne in quello amministrativo o contabile, il legislatore esige l'intervento del notaio.

 

Così come non lo esige il progetto del nuovo codice di procedura penale, approvato dal Consiglio dei ministri e in discussione davanti alla Commissione bicamerale prevista dalla legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81.

 

L'art. 95, che é norma generale valevole per tutti i gradi del giudizio, dispone, infatti, senza alcuna riserva, che .

 

Con ciò evidentemente rimandando, quanto alle forme, alle norme generali dell'art. 95.

 

4.-Non sussistendo, pertanto, alcuna ragionevole giustificazione per un trattamento così differenziato, quanto alle forme per attribuire l'incarico al difensore, fra gradi di giudizio di merito e quello di legittimità, la disparità che viene così a verificarsi fra gl'imputati dei vari gradi e lesiva del principio di cui all'art. 3 Cost.

 

Obbiettare che il ricorrente aveva pur sempre la possibilità di avvalersi delle altre forme, non avrebbe pregio giacchè, se é concesso all'interessato di avvalersi a suo piacimento di una delle forme alternativamente previste, non gli si può poi fare carico di non averne utilizzata altra esente da vizi di legittimità costituzionale. E', perciò, nel suo diritto sollecitare la denunzia di un vizio che lo priva dell'esercizio di una legittima facoltà, e bene ha fatto il giudice rimettente a sollevare la questione.

 

Una volta, poi, riconosciuta la violazione dell'art. 3 Cost. inutile affrontare il confronto con il parametro dell'art. 24 Cost. che resta assorbito.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 529 cod. proc. pen., limitatamente alla parte in cui dispone che l'incarico per la sottoscrizione dei motivi di ricorso, al difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di Cassazione, possa essere conferito anche .

 

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/05/88.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Ettore GALLO, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 31 Maggio 1988.